OPEN DAYS: QUANDO LA SCUOLA DIVENTA UN’AZIENDA INCATENATA DALLE LOGICHE DELLA CONCORRENZA

La scena è paradossale, un epic fail in piena regola: lo schermo della Tv locale sta trasmettendo in diretta l’ennesimo “servizio informativo – pubblicitario” dell’ennesimo istituto scolastico a caccia di iscritti, ma, proprio simultanei, si presentano due scenari opposti. Mentre la voce fuori campo elenca le tecnologie all’avanguardia di cui dispongono, la telecamera mostra agli spettatori un arsenale di tubi catodici e PC d’altri tempi. Un’immagine, insomma, che dovrebbe appartenere ormai ai video di repertorio, buona solo per gli appassionati di quel vintage che va tanto di moda. Strumentazioni moderne, dicevate? Tempismo perfetto, direi. L’effetto immediato, insomma, è di quelli del “Rido per non piangere”. Non tanto per l’infelice coincidenza, quanto per il fatto che servizi del genere, a promuovere una scuola piuttosto che un’altra, sono diventati la normalità, per non dire una necessità.
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Il teatrino degli “open days” di quelle che in gran parte sono ancora “scuole dell’obbligo” si ripete ormai da anni, sempre più dispendioso e meno credibile la fiera dell’ipocrisia sulla pelle dell’istruzione pubblica.
Succubi delle conseguenze della riforma Gelmini, che si è concretizzata in tagli sostanziali a finanziamenti e personale in una logica tutta economicistica e per nulla educativa, i presidi si trovano a dover intraprendere la caccia all’iscritto. Concorrenza spietata tra scuole, dunque, nata dalla necessità di superare l’assurdo limite minimo di alunni per classe imposto dal Decreto. Con meno di 27 studenti ciascuna, infatti, le sezioni non possono costituirsi e, a lungo andare, gli istituti rischiano di chiudere. E se questo già di per sé ci dimostra ancora una volta quanto l’istruzione venga valorizzata nel nostro Paese, vedere su quali basi finisce per giocarsi il marketing delle iscrizioni è ancora più desolante.

Basta tornare al servizio televisivo di cui sopra, ai volantini su carta patinata, alle fantomatiche aule informatica che spuntano, guarda un po’, proprio nel giorno dell’open day, per capire di cosa stiamo parlando. Trovo difficile, nella maggior parte dei casi, chiamare ancora questi eventi “Orientamento”. Più che per presentare agli studenti i vari indirizzi e rendere loro affascinante questo o quel percorso educativo, perché risponde davvero a delle esigenze e passioni, infatti, le scuole stanno sfoderando le loro armi migliori per accaparrarsi più iscritti. Che siano interessati davvero o no, poco importa, basta che i finanziamenti per salvare il salvabile arrivino anche quest’anno. E allora, che si dia inizio alla gara del chi mente meglio. Per necessità, costretti, ma è pur sempre questo ciò che avviene. Ecco allora una carrellata di risorse materiali, quasi inesistenti, che per l’occasione la scuola si vanta di offrire: lavagne elettroniche provviste di tutti i gadget, meno i professori in grado di usarle; computer da rievocazione storica, o, se di recente acquisto, dei quali non si sa che farsene; laboratori scientifico-tecnici dotati di strumentazioni da pachidermi, e via così.

È vivendo queste carenze ogni giorno che, ogni anno in periodo pre-iscrizioni, sorge lo stesso dubbio. Quando i professori vengono disperati ad implorare la nostra collaborazione perché con bei discorsi si convincano genitori e figli dell’efficienza di una scuola nella quale, in realtà, siamo sopravvissuti quasi solo grazie al nostro impegno, viene spontaneo chiedersi se, anche per quest’anno, saremo disposti a dimenticarci per un giorno del riscaldamento che non funziona, delle finestre che non si chiudono, delle scale antincendio inesistenti, delle fotocopie sempre più care, della connessione sempre più lenta. Ci si sente tenuti sotto scacco, perché, nonostante tutto, alla scuola molti di noi tengono ancora e credono che il suo valore non debba essere perso. Ma allora, non sarebbe forse il caso di evitare l’ipocrisia e puntare a valorizzare ciò che i nostri istituti possono ancora offrire realmente? Smetterla con gli investimenti irrisori, di facciata (sicuramente l’edificio ne ha giovato, ma i muri ritinteggiati in vista dell’open day sono proprio come l’asfalto rifatto prima del giro d’italia….), e far capire invece agli studenti cosa significhi studiare in quella scuola, quale impegno comporti e, soprattutto, quale ricchezza trasmetta?

Credo che, in tempi di crisi affrontati sempre e comunque con tagli alle nostre prospettive per il futuro, sia necessario sfruttare proprio questi momenti di esposizione mediatica per far sentire la nostra voce. Da un lato, per mostrare una scuola che vuole e può ancora offrire tanto, ma che ad oggi può farlo solo grazie alle persone che ne fanno parte (in primis noi ragazzi che, nonostante gli edifici fatiscenti e la totale mancanza di sicurezza, l’abbiamo scelta perché ne abbiamo capito, o almeno sperato, il valore profondo). Dall’altro, appunto, per evitare illusioni, per rendere consapevoli fin da subito gli studenti in entrata e le loro famiglie della lotta quotidiana che dovranno affrontare se vorranno rivendicare il loro diritto allo studio e forse, coscienti e attivi in questa azione così fondamentale, iniziare a conquistarlo.
È solo con una visione oggettiva della situazione in cui si trova l’istruzione italiana che, propositivi in una lotta condivisa, studenti ed insegnanti potranno evitare una concorrenza tra scuole a colpi di scale antincendio e carta igienica. L’essenziale, insomma.